venerdì 15 giugno 2007

Un architetto a regola d'arte





1979, intervista di Barbara Radice a Carlo Scarpa

Barbara Radice: Come nasce, Scarpa, la sua passione per l’architettura e il designà

Carlo Scarpa: Oh che domanda! È la passione di un giovane che si mette a lavorare,nata chissà come.

Lei non è architetto, mi pare.

Io non sono architetto ma ho studiato architettura all’Accademia di belle arti di Venezia,secondo le regole della tradizione italiana. Quando ero ragazzo disegnavo benissimo,la mia passione era disegnare, con la mano sinistra, e allora mio padre, maestro elementare, con una certa piccola cultura borghese diceva: andrai all’Accademia. A me pareva chissà che scuola strana, che scuola diversa dalle altre. Abitavo allora a Vicenza.

Lei è di Vicenzaà

No. Sono veneziano puro ma mia madre faceva la sarta a Vicenza e dai 3 ai 13 anni sono vissuto a Vicenza. La mia passione per il disegno è nata intorno agli 8, 9 anni.Siamo poi tornati a Venezia, mia madre è morta nel ‘19, quando avevo 13 anni.

Prendeva dei bei voti a scuolaà E in che materieà

Stia attenta: ero bravissimo nel disegno, ma in terza tecnica, dove mio padre mi mandò, sbagliando, perché sarebbe stato giusto farmi fare gli studi classici, il professore di disegno mi dette 6. Era ridicolo presentarsi all’Accademia con un 6. Allora mio padre, che qualche intuizione ce l’aveva, portò all’Accademia i miei disegni di fanciullo, i miei disegni personali insomma, non scolastici, e i professori dell’Accademia mi misero al 1° anno invece che nel corso preparatorio e mi accettarono con mezzo anno di età in meno.

Cosa dicevano di lei i professorià

Mi consideravano un allievo discreto. Nessuno allora si occupava di noi giovani.

Cosa faceva per divertirsi quando era un teenagerà

Cosa vuol dire teenagerà

Prima dei 20 anni.

Si chiama cosìà Mi divertivo a giocare a palline tra le basi attiche di Palazzo Chiericati.

A biglieà

Sì, a palline. Le biglie di terracotta, con il pallino che invece era di vetro, della bottiglia della gazzosa. Lei direbbe Schweppes.

Quale era la sua ambizione a quei tempià

Non avevo pensato proprio all’architettura, pensavo all’Accademia, una scuola d’arte, dove si diventa artisti. Pensavo: farò magari il pittore, o l’artista. Ho avuto subito passione per il disegno di architettura e per la pittura, mentre della plastica non ne volevo sapere. Sporcarmi le mani con la creta non mi andava a genio.

Quale è stato il suo primo successo, la sua prima soddisfazioneà

Non mi davo arie ma ero certamente l’allievo più bravo della scuola speciale di architettura. Facevo persino i progetti per i miei colleghi, così imparavo di più. Per quanto…imparare… cosa vuole che si impariàComunque ricordo con grande affetto il mio professore di architettura, Guido Cirilli. Ero il suo allievo preferito.

Chi o cosa l’ha soprattutto influenzataà

All’Accademia eravamo soprattutto volti agli studi del passato classico italiano. Io ho avuto uno shock un giorno a scuola nel vedere una statua greca. Mi si sono illuminate nella mente alcune questioni, alcuni valori, che non avevo capito prima. Ma devo ricordare l’enorme influenza che ha avuto, per pochi momenti, pochi giorni, un pittore danese, figlio di uno scultore, un po’ dilettante, che mi fece capire che cosa c’era di diverso nel mondo moderno, in quel momento; non certo i nostri maestri di scuola, che credevamo moderni e non lo erano affatto. Lo ricordo con grande affetto. Si chiamava Morgens Brandstrug.

Come lo ha incontratoà

Ero lì che dipingevo alle Zattere e lui è passato, si è fermato e ha detto: «Mica male».Era bellissimo, alto, biondo. Poveretto! Fu il primo che mi fece capire alcune cose. Poi mi fu regalato, presto, appena uscito, il libro «Vers une architecture» di Le Corbusier, che fu anche una grande apertura.

C ’era qualcuno che desiderava essere da ragazzo quando fosse diventato grandeà

No. Forse avevo già coscienza di me nella scuola, non ho mai pensato altro che di andare all’Accademia.

Si interessava di politicaà

No. Avevo un giovane amico che fece di tutto per farmi iscrivere al partito fascista ma dissi di no perché mi urtava i nervi. Non che capissi granché ma mi erano antipatici i fascisti. Erano i primi fascisti, tipo ex arditi, che bestemmiavano come turchi e io, che venivo da una famiglia morigerata, li trovavo volgari. Mi pareva ridicolo tutto l’apparato. Poi quando venne Mussolini mi parve anche più ridicolo. Innanzitutto perché si chiamava Benito, poi Mussolini; perché in dialetto veneto, soprattutto tra Venezia e Vicenza, i mussolini sono i moscerini. Anche rivedendo le cose in seguito Mussolini non mi è parso mai tanto odioso come allora. Ma sono sempre stato avulso dalla politica.

A cosa serve secondo lei l’architetturaà

Che domanda! Non posso mica dirle che serve a riparare gli uomini sotto la tenda. I valori scoperti in questi ultimi decenni non hanno niente a che fare con il servire o il non servire. Serve, per forza serve, si fa. Le arti… non sono abile a discorrere.Mi pare bravissimo. È una domanda impropria. È lapalissiano che serve.

Mi pare che lei ami molto il Giappone e l’architettura giapponese.

Sì, sono molto influenzato dal Giappone, non solo perché ci sono stato ma perché, anche prima di esserci stato ammiravo la loro essenzialità e soprattutto il loro sovrano buon gusto. Quello che noi chiamiamo buon gusto loro lo hanno ovunque. È un gusto non sofisticato, povero, non proprio contadinesco ma quasi. Guardavano anche molto alla Cina, ma nelle loro virtù personali i giapponesi sono essenziali e di una pulizia incredibile.

Lei ha conosciuto il Giappone direttamente o attraverso F. L. Wrightà

No, no, attraverso libri che ho comprato e poi ci sono anche andato. Ma non trovo che F. L. Wright sia orientale. È andato a fare l’Hotel Imperiale perché i giapponesi si sono accorti che nelle sue architetture sentivano odor di famiglia, per esempio in quelle che lui chiamava case «della prateria», e poi forse allora in Giappone non c’erano architetti di qualità, perlomeno del tipo occidentale.

Ma non crede che Wright sia stato influenzato dal Giapponeà.In California l’influenza della cultura orientale è molto forte.

Sì, è vero, è facile che sia stato influenzato, infatti citava anche Lao Tzu.

Lei risente anche di influenze della cultura islamicaà

Sì, ecco, sono bizantino. Sono figliato accanto alla chiesa di San Marco, quindi ho amato tutto il bizantinismo e di conseguenza anche l’islamismo. Trovo bellissime le loro case, e poi Venezia... Infatti non ho mai sentito il Palladio fondersi bene con le nostre città, anche se stimo enormemente il rinascimento italiano. Vien voglia di dire paradossalmente che Venezia è la città che potrebbe accettare le cose più moderne. È dissimmetrica, alta, bassa, storta, diritta; non ha le simmetrie che sono già in Toscana. Anche una casa araba è fatta come Venezia... si passa per corridoi strettissimi, e c’è poi quel benessere di acqua e di spazi.

Lei è stato preside della Facoltà di architettura di Venezia per un certo periodo. Ha accettato volentieri la caricaà

Si chiama direttore, non preside, direttore di istituto. L’ho fatto per una piccola vendetta personale contro i miei amici o nemici veneziani. Una storia che si riallaccia a quelle dei miei processi, vecchie e passate, tutte dovute al fatto che non sono laureato in architettura. Allora ho detto: volete vedere che faccio anche il direttore di istituto.à Perché sapevo benissimo che non ero adatto a fare il direttore, non sono un organizzatore.

Che cosa ha cercato di fare mentre era in caricaà

Ho cercato di vedere se si poteva mettere un poco di ordine e poi niente… ho fatto cose che gli studenti smontavano. Volevano una bella sala di lettura e l’ho organizzata. Poi lo stesso giorno che è stata aperta volevano farne una sala per le assemblee. Siccome c’era poco spazio a nostra disposizione ho detto che potevano fare le assemblee altrove. E allora l’hanno smantellata.

Quanto tempo è stato in caricaà

Due anni e mezzo. Poi ho dato le dimissioni.

Lei ha sempre disegnato oggetti costosissimi…

Non è vero niente. Ho fatto un certo lavoro, durante il fascismo, che speravo potesse portare ad altro lavoro, e invece fui indirettamente boicottato perché si negava l’apporto moderno che cercavo di dare a Venezia. Nel 1935 feci un restauro a Venezia. Dissi: bene, se piace ci sarà altro lavoro. Vennero Maraini e Volpi a visitarlo e fecero pollice verso. Allora ricontinuai a lavorare per Venini. Cosa dovevo fareà

Ma se le dicessero di disegnare degli oggetti per l’Upim, accetterebbeà

No. Per l’Upimà Perché noà Dipende. Non è che io faccio cose costose. Perché adesso ho disegnato delle posate d’argento... perché ho fatto alcuni particolari apparentemente costosi perché molto elaborati… ma è come comprarsi una cravatta di grande qualità, mettersi un anello al dito.

Ma le cose per l’Upimà

Non lo so, non mi sono state chieste. Sì ho capito la domanda: vorrebbe insinuare che vorrei fare solo cose raffinate, un aggettivo orribile, da scordare.

Io non ho detto raffinato, comunque si potrebbe fare qualcosa di raffinato anche per la Standa. O noà

Sì appunto. Allora si dice che bisogna fare cose buone, cose belle. Se capita poi che questa cosa bella venga fuori costosa non so chi ha la colpa. Non saprei che disegni fare per l’Upim. Cosa vuole che mi domandi l’Upimà Poi protesto contro questa idea. Faccio le cose come vengono. Rifarei le scatole di fiammiferi svedesi di 25 anni fa, non quelle di adesso. Al di sotto di una certa qualità non si può andare.

Chi pensa che sia oggi il più grande architetto viventeà

Direi che sono morti tutti. Se ascolta la scuola moderna italiana dicono Stirling, qualcuno pensa forse a Meier.

È leià

Mi pare che l’ultimo che è morto è Louis Khan.

Chi è oggi un bravo architetto italianoà

Mi provoca con delle domande!

Può anche dire che non lo sa.

Sì non lo so, non ci ho mai pensato.

Qual è il più grande architetto del ventesimo secoloà

Perché si devono fare queste domandeà Potrei dire che il più grande architetto del secolo…, no, non si può dire, non c’è risposta. Uno potrebbe dire Le Corbusier. Quell’altro direbbe: «ma no, per carità, è F. L. Wright ». Trovo Gaudì un uomo di grande genio ma forse non posso dire che è il più grande, eccetera… Tra l’altro appartiene un po’ al secolo decimonono.

Quale architetto del passato le interessa particolarmenteà

Direi Brunelleschi, è quasi un visionario greco. Ma il mio artista preferito su tutti i piani è Donatello. Sarebbe stato capace di fare delle meravigliose architetture.

Perché Donatelloà

Perché Donatello sa fare tutto e tutto quello che fa, fa in modo perfetto. È il più grande di tutti gli italiani. Lo chiamo San Donatello. L’ho messo nell’Olimpo, nel paradiso dei miei santi.

Quale monumento del passato ama di piùà

Ci risiamo. Mi piacerebbe avere lo studio nel piccolo tempietto della Vittoria Attera sull’Acropoli.

Che cosa pensa che succederà agli architettià Ce ne saranno ancoraà Sparirannoà

Con tutti gli sforzi che si fanno per capire questo mondo moderno penso che dovrebbe andare bene, che ci dovrebbe essere un avvenire migliore. Mi sembra che ci siano perfino dei giovani bravi, e se non ci sono adesso, in questo istante, ci saranno tra qualche generazione.

Lei è stato spesso osteggiato dai suoi colleghi architettià

Non sono mai stato osteggiato.

E tutti i processi che ha avutoà

Sono cose da niente. L’unica cosa che mi ha fatto dispetto è che un giorno alla denuncia hanno detto: «e si permette perfino di fare conferenze sull’architettura». Neanche un giornalista nemico di qualcuno si permetterebbe di dire queste stupidaggini. Poi il pretore, che stava assistendo alla lettura di questo, siccome mi sono messo a ridere, mi ha detto: «Imputato Scarpa, si dia un contegno!». In quel momento avrei buttato addosso al pretore il massimo del mio disprezzo e ho dovuto ancora sorridere.

Le piacciono i partiesà

Sono indifferente. Ci vado. A me piace mangiare e bere e quindi ai parties, se c’è il caviale, preferisco che non polenta e fagioli.

Guarda la televisioneà

Sì, parecchio. La sera per una specie di relax. Mi piacciono soprattutto i film western.

Va molto al cinemaà

Al cinema no. Andavo in gioventù, quando eravamo a Venezia, adesso qui a Vicenza siamo isolati.

Qual era la sua attrice preferitaà

Marilyn Monroe. Possiedo una foto di Marilyn che mi ha regalato un amico, che deve essere fatta da Avedon, la sola testa, con i capelli biondi, è veramente la rappresentazione della nascita di Venere. Nello studio di questo amico era appesa alta sul muro e io prendevo una sedia e le davo un bacio. Finalmente sono riuscito ad averla.

Colleziona qualcosaà

No; solo trappole che costano poco perché non ho soldi. Se ho soldi compro libri. Sono anche indifferente a collezionare opere d’arte. Avendo fatto tante Biennali forse avrei potuto avere di più. Ho solo pochi regali di amici a cui non si poteva neanche dire di no.

Si dice che lei sia molto vanitoso e che riesca spendere 250.000 lire per un paio di scarpe di Fini, e anche di più per un cappello di panama.

È ridicolo. Se si vuole avere un buon paio di scarpe bisogna che sia fatto a mano. Non c’è niente da fare. Anche un vestito… ma sui vestiti passo sopra, non mi interessano. Ma le scarpe devono essere buone. Per avere un paio di scarpe di camoscio, che mi piacciono, devo prendere camoscio di qualità sopraffina; non se ne trova più. Oggi, il paio di scarpe che ho indosso, gliele posso mostrare, costano 160.000 lire, non 260.000.

E il cappello di panamaà

Perché d’estate devo tenere un cappello in testa, e questo cappello deve essere leggero, e anche apparentemente di gusto buono.

Ma lei ha passioni costose, le piace il caviale, lo champagne. Dicono a Vicenza che lei lo champagne lo compra a casse.

loà Non è vero niente. Certo se devo bere un whisky lo bevo buono. Fumo solo sigari avana. Posso dirle che fumavo le più care sigarette di Europa, se vuole divertire la gente.

Deve ammettere che scarpe da 160.000 lire non sono un’idea corrente.

Allora dirò che scarpe da 40.000 lire sono quanto di peggio si possa immagjnare. Ma io non ho anelli d’oro e d’argento. Ho regalato a mia moglie tante collane di pietre dure, se potessi avere un anello di brillanti o uno di smeraldi sarei un uomo felice.

Le piace viaggiareà

Sì.

Con che mezzoà

Con la Rolls Royce, con cui sono stato in Spagna giorni fa. Un viaggio meraviglioso.

Dove preferisce viaggiareà

Come doveà

Al polo nord o all’equatoreà

Mi piacerebbe vedere un po’ tutto il mondo, ma mi interessa soprattutto andare in zone culturali, dove ci sono musei e cose simili. Poi mi piacerebbe moltissimo vedere il deserto, perché è come il mare, perché mi piace l’orizzontalità.

Quale cultura del passato le interessa di piùà

La Grecia.

Nient’altro di più esoticoà

Sono uno educato tra Bisanzio e la Grecia. Capisco anche chi dice: «Se sapessi l’India!». Ma ho visto diapositive di Katmandu e devo dirle che se ci fossi stato sarei stato desolato. Mi è piaciuta la Cambogia per certi valori. Ma poi ho riconosciuto che quello che vedevo era del 1100-1200 e che in quello stesso periodo c’era S. Ambrogio a Milano. Allora mi sono detto: la Cambogia sembra vecchia di 5000 anni, allora che cultura èà

Crede nella vita dopo la morteà

Sì. Uno dei soliti misteri di chi ha perduto la fede e poi non sa più come regolarsi.Però una specie di aldilà trascendentale credo che ci sia, anche se non cerco di figurarmelo.

Cosa pensa dei viaggi extraterrestrià

Si, io volevo andare sulla luna, poi mi hanno detto che non ero adatto.

Le interessa la fantascienzaà

Assolutamente no.

Come vede il futuro nei prossimi 500 annià

Che cosa vuole che capisca io di queste coseà Non vedo niente. Spero solo che domani sia bel tempo come oggi. Mi piace il presente.

Ma pensa che il mondo possa cambiare, che si possa salvare il mondoà

Sì, si diventerà meglio ma ci vorrà tanto tempo, bisognerà decidersi a parlare tutti una lingua sola. Ma sono ottimista in questo senso.

Le piace lavorareà

Sì, quando è bel tempo.

Cosa pensa della liberazione della donnaà

Penso che va bene. Anzi penso che sarei un vero… come si chiamaà

Femminista.

Giusto, femminista. L’unica eccezione la farei per le architette.

Perchéà

Perché non hanno il senso del grave.

Del cosaà

Del «grave ». Scriva proprio così e il «grave» lo scriva tra virgolette.

Crede nella famigliaà

Beh sì; io non ho nulla da eccepire. Credo che converrebbe per un artista di essere libero. Cioè, se fossi un pittore, se fossi un artista.

Perché, lei non si ritiene un artistaà

Mettiamo che mi ritengo un artista, comunque sono stato felice con mia moglie e lo sono tutt’ora, anche se è vecchia, poveretta, piena di rughe; una volta era bella, rotonda come una mela. Penso che la famiglia sia ancora una cosa che si può accettare.

Crede nell’amore romanticoà

Ah quello può esserci sempre. Può arrivare anche a un vecchio di 80 anni.

È stato innamorato molte volteà

Boh, innamorato! In gioventù sì, prima di conoscere mia moglie. Poi di mia moglie, e gli excursus di ordine esterno sono passeggeri.

Sua moglie dice che lei è un moralista cattolico.Legge moltoà

Si, abbastanza.

Cosa leggeà

Molti libri che non ho potuto leggere in gioventù, classici, ma anche saggistica.

Quali sono i suoi autori preferitià

I grandi maestri del mondo sono sempre quelli, si sa, ma per esempio Leopardi mi piace incommensurabilmente e lo leggo spesso.

Che riviste leggeà

Non sono abbonato a nessuna rivista. Sarei contento di avere riviste letterarie, ma non si sa cosa scegliere. Così non ne scelgo nessuna.

Crede che ci sia una ricetta per avere successoà

È probabile che se fossi stato bello avrei avuto successo.

Che cosa pensa dell’arte contemporaneaà

È un mondo intero e non ci ho pensato granché. Non mi piace più niente. Si può dire che sono tutti calemboursà Barzellette sarebbero, ma calembours ha un altro senso in francese. Se fossi un pittore sarei un naturalista, un realista. Non ci sono stati solo i Cézanne o i Van Gogh. Se volete, penso che si possa ancora tradurre la realtà, o interpretarla,come usano dire.

Perché non ha mai voluto far fotografare la tomba Brionà

Al contrario, purtroppo l’hanno fotografata troppo presto quando non era ancora terminata.

Ma non finiva mai.

C’erano tante piccole cose da fare, che rimandavo, anche perché non venivano bene. Era un lavoro di pretto valore lirico-sentimentale, edonistico se vogliamo, volevo dimostrare come può essere sereno e gentile un cimitero.

È finito adessoà

Adesso sì.



È soddisfatto di quel lavoroà

Sì, abbastanza. È l’unico lavoro che vado a rivedere volentieri.

Quanto è costato il cimitero Brionà Si è parlato di cifre altissime.

Qualcuno ha parlato addirittura di miliardi. E invece è costato solo 200 milioni circa.

Adesso, a Venezia, le daranno una laurea honoris causa. È contentoà

Sì, abbastanza, ma non per ragioni pratiche, come lo sarei stato se me la avessero data più presto, quando mi sarebbe servita. Adesso la accetto e mi pare di essere contento che me la diano, come riconoscimento per aver operato bene.

C’è qualcosa che rimpiange di non aver fattoà

Tante cose, se è per quello.

Per esempioà

Rimpiango di non aver provato a insistere con la pittura che mi piaceva tanto. Ogni tanto dico: adesso vado in pensione e mi rimetto a dipingere.

sabato 9 giugno 2007